Continua il week-end porteghese nei nostri protagonisti… La prima sera a Lisbona!
Siamo pronti. Usciamo. Prendiamo la metropolitana. La nostra prima volta in metropolitana. Seguiamo Andrea, eletto all’unanimità ‘esperto di metropolitana’, in quanto, prima di partire per Lisbona, si è guardato “Sliding doors”. Prendiamo la metropolitana, orgogliosi del nostro Virgilio. Prendiamo la metropolitana. Sì. Ma nella direzione sbagliata. Evidentemente Andrea si era fatto incantare dagli occhioni di Gwyneth Paltrow e non si era troppo concentrato sul funzionamento della metropolitana.
– Sei un deficiente! – lo rincuora Michele.
Poi cerchiamo di raccapezzarci tra colori e fermate. Risaliamo. Ma toppiamo la fermata giusta. Scendiamo. Risaliamo. Scendiamo. Risaliamo. Scendiamo. Risaliamo. Risaliamo in superficie che siamo più lontani dal centro di quanto non lo fossimo quando siamo partiti. Per rendere l’idea della situazione, posso dirvi che, quando risaliamo in superficie, Michele si sente in dovere di togliersi un dubbio: “Lisbona, vero?”, chiede a un passante. Il passante ci rassicura, sussurrando “Lisboa”, pensando forse alla evenienza di indicarci il più vicino ospedale psichiatrico.
Rinunciamo ad usare la metropolitana a favore di tram e trekking (“fa bene alla salute”, dice Andrea; “farà bene a te … io mi sono operato al ginocchio due settimane fa … dovrei essere a riposo …”, risponde Marco Gregory House. Rinunciamo ad usare la metropolitana a favore di tram, trekking e, Samuele, funicolari. A prescindere dalla palese inutilità e simbolicità della funicolare in questione. Il pomeriggio successivo al nostro arrivo passa due ore di orologio su e giù su una funicolare che avrà una tratta di che so … trenta metri. Dapprima il conducente lo guarda divertito, poi con perplessità, poi con disprezzo. Riesce a farlo scendere soltanto sotto minaccia di chiamare la polizia.
Un’ora dopo.
Saliamo. Saliamo. Saliamo. A piedi. Una fatica immane. L’ultima volta che feci attività fisica? Sei anni prima. Mi aveva invitato una mia amica a fare jogging. Avevo fatto confusione tra “jogging” e “shopping”. Pensavo mi avesse invitato a fare shopping. Tre chilometri di corsa. Una esperienza traumatizzante. Senza contare il fatto che ero in jeans e camicia. “Tu corri così?”, mi aveva chiesto lei, stranita. “Sì, ci vuole sempre un tocco di eleganza”, avevo risposto. Ne fu talmente convinta che si sentì in dovere di scusarsi per la sua tuta oscena. “Oscena”, così la definì.
Arriviamo al Castello di Sao Jorge. Che domina dall’alto la città. Da cui si può vedere Lisbona ai propri piedi.
Tutti i turisti con le macchine fotografiche a fare scatti su scatti al panorama. Tutti tranne i coglioni dei miei amici. A fare le foto ai cannoni. In pose da pirati. Il peggiore: Andrea, con una benda sull’occhio tirata fuori da non so dove (“ma chi ti ha sciolto?”, gli chiede Michele). Una scena imbarazzante. Sono veramente socialmente impresentabili. Mi pare di essere il maestro delle elementari con i bambini in gita a Gardaland. Solo che i bambini son ben avviati verso i trent’anni. Mi immagino cosa ne penserebbe il signore ultradistinto. Cerco di discostarmi. Ma mi chiamano a gran voce.
“Capitano vieni qui!!! Una foto con la ciurma!!!”
Ringrazio il cielo di essere all’estero. Quantomeno nessuno capirà quel che dicono. Tempo di rassicurarmi e un gruppo di ragazzi sghignazzante mi apostrofa: “vai capitano! La ciurma ti aspetta!”.
Ecco.
Vado a fare questa maledetta foto.
Lascio la macchina fotografica ad un passante. Una persona per bene. Lo si vede subito. Anche se non sembra molto pratico in quando a scatti, accetta di buon grado. Ci mettiamo in posa. Ci fa segno di stringerci. Non ci entriamo. Ci stringiamo. Non ci entriamo. Fa un paio di passi indietro. Ci siamo quasi. Fa un altro paio di passi indietro. Si volta. Si mette a correre. Scappa. Con la mia macchina fotografica.
Ecco.
Rimango basito.
E i miei amici … giù a ridere.
Ecco.
– Era la macchina nuova? – chiede Michele.
– Sì.
Ride.
– Cazzo ridi?!?